giovedì 19 aprile 2007

IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO

A cura di Arminante Antonella, Carfora Rachele, De Luca Melania, Gualtieri Teresa.


1. INTRODUZIONE

Il processo di cambiamento che negli ultimi anni ha caratterizzato il settore pubblico nei diversi paesi industrializzati ha avuto come elemento di fondo la progressiva riduzione dell’intervento pubblico nell’economia e la crisi del sistema definito con il termine di Welfare State.

Tale modello era caratterizzato da un forte accentramento delle istituzioni, reso necessario soprattutto dall’esistenza di tecnologie informatiche primitive, sistemi di comunicazione sostanzialmente lenti e risorse umane poco formate ed, inoltre, da un impegno dello Stato nell’economia sempre più crescente in termini di ricchezza pubblica investita e di coinvolgimento diretto nella gestione delle aziende di servizi pubblici; ciò ha comportato un aumento del numero delle aziende pubbliche di natura composta, ossia che svolgevano processi sia erogativi che produttivi, rispetto a quelle di natura essenzialmente erogativa. Contemporaneamente, la crescente offerta di servizi pubblici, sostenuta da un contestuale aumento della richiesta degli stessi e favorita dal miglioramento delle condizioni economiche e di vita dei cittadini, aumentava l’insoddisfazione dei cittadini stessi a causa del progressivo aumento della spesa pubblica e dell’inefficacia dell’offerta dei servizi.
L’incremento rilevante della spesa pubblica era “determinato tanto da un ampliamento della gamma di servizi e prestazioni della pubblica amministrazione (in alcuni casi anche oltre le effettive esigenze), quanto da modelli di spesa non sempre razionali e privi di precisi obiettivi di ottimizzazione, a motivo anche della spinta alla centralizzazione delle responsabilità impositive e decisioni di spesa”, che a livello microeconomico, ossia delle singole imprese pubbliche, era aggravato da una gestione inefficiente delle stesse.

Tutto ciò ha creato forti spinte per una evoluzione del ruolo pubblico verso la fase definibile come Stato della qualità di vita, in cui si realizza una razionalizzazione delle modalità dell’intervento pubblico, orientate soprattutto a sostenere le attività non garantite dal settore privato, assicurando il perseguimento dell’equità ed il raggiungimento di adeguati livelli di efficienza ed efficacia. Le finalità perseguite dallo Stato della qualità di vita sono scindibili, in particolare, in due distinte sottofasi:

quella dello Stato dei servizi, nel quale diventa centrale l’efficienza dell’amministrazione pubblica nel produrre servizi in quantità e qualità corrispondente alle attese dei cittadini, delle famiglie, delle imprese (orientamento al servizio al cliente);
quella dello Stato regolatore, nel quale è, invece, centrale l’aspetto di ridimensionamento dell’intervento pubblico, per cui l’amministrazione è sempre meno coinvolta nei processi di produzione tecnica, dovendo concentrare la propria attenzione sul governo dei comportamenti economici di altri soggetti[1].

La modificazione del ruolo del soggetto pubblico, unita alle mutate esigenze del mercato, ha dato dunque avvio ad un complesso procedimento di riforma degli strumenti attraverso cui realizzare e/o gestire le opere infrastrutturali ed i servizi pubblici.
In tale nuovo contesto assistiamo sempre più al tentativo del soggetto pubblico di coinvolgere il capitale privato nella realizzazione e/o gestione delle opere ovvero dei servizi medesimi.
La necessità, quindi, del coinvolgimento del capitale privato, dovuta alla continua crescita del debito pubblico, ha determinato a livello nazionale ed internazionale il diffondersi di strumenti di cooperazione tra soggetti pubblici e privati, che vanno sotto il nome di partenariato pubblico-privato (PPP).

Nel corso dell'ultimo decennio, il fenomeno del PPP si è sviluppato in molti settori rientranti nella sfera pubblica (trasporti, sanità pubblica, istruzione, sicurezza pubblica…). L’aumento del ricorso a operazioni di PPP è riconducibile a vari fattori.
In presenza delle restrizioni di bilancio cui gli stati devono fare fronte, risponde alla necessità di assicurare il contributo di finanziamenti privati al settore pubblico.
Inoltre, il fenomeno è spiegabile anche con la volontà di beneficiare maggiormente del "know-how" e dei metodi di funzionamento del settore privato nel quadro della vita pubblica. Lo sviluppo del PPP va, d’altronde, inquadrato nell'evoluzione più generale del ruolo dello Stato nella sfera economica, che passa da un ruolo d'operatore diretto ad un ruolo d'organizzatore, di regolatore e di controllore.
In Italia le iniziative di PPP più significative hanno origini agli inizi degli anni Venti quando venne impostata la realizzazione della prima autostrada (la Milano-Laghi) che venne inaugurata nel 1925.
Nel 1927 un’apposita legge (la n. 1137) stabilì che anche i soggetti privati potevano essere destinatari della concessione di autostrade. La c.d. “Legge Romita” del 1955 (n. 463) stabilì, poi, la scelta del metodo concessionale quale strumento principale per la costruzione della rete autostradale.
Le autostrade italiane, quindi, sono state realizzate tramite iniziative di PPP.

In Italia, nel triennio 2002–2004, sono state censite 101.379 gare per la realizzazione di opere pubbliche per un importo totale di 101,3 miliardi di euro. Rispetto a questo aggregato, il PPP incide per circa il 24% sull’importo totale dei progetti.
Questi dati confermano che, in momenti quali l’attuale, in cui il sistema economico europeo presenta vincoli derivanti da scarse risorse pubbliche e dalla diffusa difficoltà di rilanciare gli investimenti, il PPP può costituire una opportunità.

Alla luce di quanto detto, va precisato che se da un lato è sicuramente vero che la cooperazione tra pubblico e privato può determinare vantaggi microeconomici consentendo di realizzare un progetto con il miglior rapporto qualità-prezzo, dall’altro non deve essere considerata una soluzione “miracolo”.
In tale ottica, il Libro Verde della Commissione Europea sul partenariato pubblico privato rappresenta il primo passo per l’ eventuale adozione di una direttiva ad hoc che disciplini il fenomeno a livello comunitario. Tralasciando i possibili sviluppi, l’interesse del Libro Verde risiede nella puntualizzazione di alcune regole di base affinché le forme di partenariato pubblico-privato possano considerarsi coerenti con i principi generali di diritto comunitario, superando di fatto l’estrema eterogeneità dei rapporti e degli istituti giuridici che sono riconducibili alle molteplici forme possibili di partnership pubblico-privato.



2. IL LIBRO VERDE RELATIVO AI PARTENARIATI PUBBLICO-PRIVATI
ED AL DIRITTO COMUNITARIO DEGLI APPALTI PUBBLICI E DELLE
CONCESSIONI

Il 30 aprile 2004 la Commissione europea ha pubblicato il “Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” (COM327/2004)[2].
Il Libro Verde avvia un processo di ricognizione delle situazioni attualmente vigenti nei diversi stati dell’UE con il fine eventuale di arrivare ad identificare un quadro di regole comuni e condivise in materia di forme di “collaborazione” tra soggetti pubblici e soggetti privati.
Esso ha il merito di riproporre in modo sistematico e comprensivo la questione della disciplina giuridica delle varie forme di partenariato, ove si riscontrano lacune ed incongruenze tanto nel diritto comunitario quanto nei diritti degli Stati membri.
La nozione di PPP da cui muove il Libro Verde è tale da ricomprendere un ampio spettro di casi che nascono dalle prassi più ancora che dalle legislazioni.

Il Libro Verde analizza il fenomeno dei PPP alla luce del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni. Il diritto comunitario non prevede regimi specifici comprensivi del fenomeno dei PPP. Ciononostante qualsiasi atto attraverso il quale un'impresa pubblica affida la prestazione di un'attività economica ad un terzo deve essere esaminato alla luce delle norme e dei principi derivanti dal Trattato, e in particolare alla luce dei principi di trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e di mutuo riconoscimento.

Il Libro Verde punta ad avviare un dibattito sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni al fenomeno dei PPP. Tale dibattito si concentra sulle norme che devono essere applicate quando si decide di affidare una missione o un incarico ad un terzo. Esso si colloca a valle della scelta economica ed organizzativa effettuata da un ente locale o nazionale, e non può essere interpretato come un dibattito mirante a esprimere un apprezzamento generale riguardo alla scelta se esternalizzare o meno la gestione dei servizi pubblici. Tale scelta compete infatti esclusivamente alle autorità pubbliche.
Il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni non si esprime riguardo all’opzione degli Stati membri se garantire un servizio pubblico attraverso i propri stessi servizi o se affidarli invece ad un terzo. Più precisamente, il Libro Verde mira a illustrare la portata delle norme comunitarie applicabili alla fase di selezione del partner privato ed alla fase successiva, allo scopo di individuare eventuali incertezze e di valutare se il quadro comunitario è adeguato alle sfide ed alle caratteristiche specifiche dei PPP.


3. IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO

Il termine partenariato pubblico-privato ("PPP") non è definito a livello comunitario.
Esso riguarda le diverse forme di cooperazione possibile tra settore pubblico e privato, attraverso le quali le rispettive competenze e risorse si integrano al fine di garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio.

Il PPP costituisce una operazione complessa, un contratto tra l’amministrazione e l’operatore privato, caratterizzata dalla coesistenza di tutti o parte dei seguenti elementi chiave:
la progettazione (Design);
il finanziamento (Finance);
la costruzione (Build);
la gestione (Operate);
la manutenzione (Maintenance).

I seguenti elementi caratterizzano normalmente le operazioni di PPP:
la durata relativamente lunga della collaborazione, che implica una cooperazione tra il partner pubblico ed il partner privato in relazione a vari aspetti di un progetto da realizzare[3].
la modalità di finanziamento del progetto, garantito da parte dal settore privato, talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti. Spesso, tuttavia, quote di finanziamento pubblico, a volte assai notevoli, possono aggiungersi ai finanziamenti privati.
il ruolo importante dell'operatore economico, che partecipa a varie fasi del progetto (progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento). Il partner pubblico si concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini d'interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il controllo del rispetto di questi obiettivi.
la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato, sul quale sono trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico[4]. I PPP non implicano tuttavia necessariamente che il partner privato si assuma tutti i rischi, o la parte più rilevante dei rischi legati all'operazione. La ripartizione precisa dei rischi si effettua caso per caso, in funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli stessi.

A seconda della ripartizione del rischio tra il partner pubblico ed il partner privato possono distinguersi due grandi tipologie di progetti realizzabili attraverso forme di PPP:
a) I progetti dotati di un intrinseca capacità di generare reddito
In tale tipologia si distinguono:
· i progetti che generano ricavi da utenza (soggetti terzi), in pratica il partner privato consegue un integrale recupero dei costi sostenuti nell’arco della durata della concessione,
· i progetti in cui il privato fornisce direttamente servizi alla PA: è il caso di tutte quelle opere pubbliche - carceri, ospedali, scuole - per le quali il soggetto privato che le realizza e gestisce trae la propria remunerazione esclusivamente (o principalmente) da pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione.

b) I progetti che richiedono una contribuzione pubblica
In tale tipologia rientrano gli interventi i cui ricavi da utenza sono di per se insufficienti a generare adeguati ritorni economici, in tali casi per coprire i costi si rende necessaria una contribuzione pubblica. La realizzazione di tali interventi economicamente negativi trova la propria ratio nella capacità di determinare delle esternalità positive in termini di benefici sociali.

Tramite l’uso del PPP, dunque, il settore privato può dare un grosso contributo mettendo a disposizione del settore pubblico le sue capacità di gestione, la sua efficienza, il suo potenziale di finanziamento e investimento, lasciando alla pubblica amministrazione il compito di assicurare la fornitura dei servizi pubblici, la regolamentazione dell’economia e ovviamente la condivisione del rischio con il settore privato.
Tale cooperazione porta con sé innumerevoli vantaggi[5], tutti derivanti da un’ottimale allocazione e divisione dei rischi tra settore pubblico e settore privato: se, infatti, i rischi del progetto sono debitamente identificati ed analizzati, allora i partecipanti al progetto possono minimizzare il rischio di insuccesso e realizzare un progetto con il miglior rapporto prezzo-qualità[6].
Naturalmente la prospettiva da adottare è quella del lungo termine: lungo tutta la durata del progetto il privato deve essere in grado di fornire un servizio di alta qualità che il settore pubblico non sarebbe capace di fornire.

Come abbiamo visto, le partnership pubblico-private possono rappresentare una opzione utile a consentire il finanziamento di progetti di pubblico interesse; in ogni caso, esse devono rispettare una serie di condizioni essenziali, che la COM (2003) 132 individua in:
la “chiara” definizione del progetto in questione;
la volontà politica che deve essere di “lungo respiro, per evitare di rimettere in causa le decisioni iniziali”;
la trasparenza e la tutela della concorrenza nella gestione delle procedure di gara;
“i soggetti interessati devono adoperarsi per garantire una partnership di qualità”;
un ambiente giuridico preciso e stabile;
la definizione di opportune garanzie finanziarie;
il coerente dimensionamento economico del progetto in esame;
ritorni finanziari entro lassi temporali ragionevoli;
la previsione di “una ripartizione delle entrate al di là di un importo congiuntamente deciso – importo minimo di entrate garantito dallo Stato (senza però che esse possano essere collegate ad aiuti mascherati)”;
la chiara e dettagliata definizione dei rischi connessi al progetto;
la trasparenza dei costi, delle condizioni di concessione e di esercizio e più in generale di progetto.

Tali condizioni, come più volte rilevato dalla stessa Commissione europea, “non sempre vengono soddisfatte nella pratica”.

Il Libro Verde ha analizzato il fenomeno del PPP alla luce del diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, delineando una prima distinzione tra:
i PPP di tipo puramente contrattuale, nei quali il partenariato tra settore pubblico e settore privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali;
i PPP di tipo istituzionalizzato, che implicano una cooperazione tra il settore pubblico ed il settore privato in seno ad un'entità distinta.
Questa distinzione è fondata sulla constatazione che la diversità delle pratiche in materia di PPP che si incontrano negli Stati membri può essere ricollegata a questi due grandi modelli.


4. IL PARTENARIATO DI TIPO PURAMENTE CONTRATTUALE

Il termine PPP di tipo puramente contrattuale riguarda un partenariato basato esclusivamente sui legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazione, nei quali uno o più compiti più o meno ampi (tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio) vengono affidati al partner privato.

I modelli di partenariato di tipo puramente contrattuale più conosciuti sono l’appalto e la concessione.
Gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi. Il partner privato è destinato a realizzare e gestire un'infrastruttura per la pubblica amministrazione (ad esempio, una scuola, un ospedale, un centro penitenziario, un'infrastruttura di trasporto). In questo modello la retribuzione del partner privato non avviene in forma di compensi versati dagli utenti del lavoro o del servizio, ma di pagamenti regolari ricevuti dal partner pubblico. Questi pagamenti possono essere fissi o variabili in funzione, ad esempio, della disponibilità dell’opera o dei servizi ad essa relativi, o anche della frequentazione dell’opera[7].
Le concessioni sono, come gli appalti pubblici, contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori o la prestazione di servizi (non è prevista la forniture), il cui corrispettivo, però, consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Il modello concessorio, è caratterizzato dal legame diretto esistente tra il partner privato e l'utente finale: il partner privato fornisce un servizio al pubblico, "in luogo", ma sotto il controllo, del partner pubblico. La retribuzione del co-contraente consiste in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario completata da sovvenzioni versate dall’autorità pubblica.
La differenza tra i due modelli suddetti sta, dunque, in questo: nella concessione, l’impresa concessionaria eroga le proprie prestazioni al pubblico e, pertanto, assume il rischio della gestione dell’opera o del servizio, in quanto si remunera, almeno per una parte significativa, presso gli utenti mediante la riscossione di un prezzo; nell’appalto, invece, le prestazioni vengono erogate non al pubblico, ma all’amministrazione, la quale è tenuta a remunerare l’attività svolta dall’appaltatore per le prestazioni ad essa rese. L’impresa che fornisce l’opera o il servizio non sopporta, quindi, l’alea connessa alla gestione dell’opera o del servizio, sicchè, venendo a mancare l’elemento rischio, la fattispecie non è configurabile come concessione, bensì come appalto di lavori o di servizi

Relativamente alla fase di selezione del partner privato, la Commissione tratta separatamente “l’atto attributivo qualificato come appalto pubblico” da quello “qualificato come concessione”.
Nel primo caso, viene affermato nel Libro Verde, il “regime applicabile all’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, o di appalti pubblici di servizi, deriva dalle disposizioni delle direttive comunitarie che fissano norme dettagliate, in particolare in materia di pubblicità e di partecipazione”.
Nel caso di atti attributivi qualificati come concessioni, la Commissione riconosce che non sono numerose le disposizioni di diritto derivato che ne coordinano le procedure di aggiudicazione.
La scelta del partner privato deve avvenire comunque rispettando quelli che sono i principi consolidati nel Trattato, che sono principi di trasparenza, proporzionalità, mutuo riconoscimento e parità di trattamento. Più precisamente si devono rispettare le seguenti condizioni: fissazione preliminare dei criteri di selezione del concessionario, adeguata pubblicità, messa in concorrenza effettiva degli operatori potenzialmente interessati, aggiudicazione sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori.
In linea generale l’intervento pubblico nella scelta del partner privato non dovrà mai essere lesivo dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.


5. IL PARTENARIATO ISTITUZIONALIZZATO

Il partenariato istituzionalizzato si ha quando viene costituita un’entità autonoma partecipata congiuntamente dal soggetto pubblico e dal soggetto privato (es. società miste).
Tale società ha la missione di fornire un servizio o la realizzazione di un opera a favore del pubblico.
Negli Stati membri, le autorità pubbliche ricorrono a volte a queste strutture, in particolare per la gestione di servizi pubblici a livello locale (ad esempio, per i servizi d'approvvigionamento idrico o per la raccolta dei rifiuti).

La cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente dotato di personalità giuridica propria permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni, che può adattare nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune.
Essa permette inoltre al partner pubblico di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato.

La creazione di un PPP istituzionalizzato può avvenire in due modi: a) creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal pubblico e dal privato; b) passaggio a controllo privato di un’impresa pubblica già esistente.
a) creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal pubblico e dal privato:
l’operazione consiste nel creare un’impresa a capitale misto; in tale tipo di operazione occorre il rispetto dei principi comunitari di cui all’art 43 e 49 del trattato UE che impongono: trasparenza, proporzionalità, mutuo riconoscimento e parità di trattamento. Inoltre, la scelta del soggetto privato destinato a svolgere gli incarichi deve avvenire nel pieno rispetto del principio di non discriminazione.
b) passaggio a controllo privato di un’impresa pubblica già esistente:
tale operazione si verifica quando si assiste ad una modifica della partecipazione azionaria di un’impresa pubblica. Tale scelta è una scelta esclusivamente politica e come tale è di competenza esclusiva dello Stato. Anche questa forma di PPP istituzionale deve avvenire nel pieno rispetto dei principi del trattato.


6. LE POSSIBILI FORME DI PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO

Data la carenza a livello comunitario di una normativa specifica, che identifichi in maniera tassativa le forme di PPP, esso si è sviluppato in modo differente nei vari stati membri.
A tal fine e per completezza di analisi passeremo in rassegna le diverse forme giuridiche attraverso le quali si possono realizzare operazioni di PPP sia nell’ordinamento italiano sia nella prassi internazionale.

a) PPP nell’ordinamento giuridico nazionale

Concessione di lavori pubblici (art. 19, II comma L.109/1994 e art. 7 d.lgs 190/2002): è il contratto tra un soggetto privato e una P.A. avente ad oggetto la progettazione, la esecuzione delle opere unitamente alla loro gestione. Il corrispettivo per il privato è rappresentato dal diritto di gestire il bene. Il contributo pubblico può essere finalizzato solo al riequilibrio economico-finanziario, infatti il rischio della gestione deve essere in capo al privato.

Concessione di servizi (art. 1, par. 4, direttiva 2004/17/CE) è un contratto tra la PA ed un privato per la gestione di un servizio, il corrispettivo per il privato è rappresentato unicamente dal diritto di gestire il servizio, eventualmente accompagnato da un prezzo, purchè il rischio resti sempre in capo al soggetto privato.

Concessione a terzi per la gestione di un servizio pubblico locale (art.113, V comma, lett.a TUEL): é il contratto tra la PA ed una società di capitali individuata in base ad una procedura ad evidenza pubblica.

Project Financing (art 37 bis e ss L 109/94): è una operazione di finanziamento di una particolare iniziativa imprenditoriale, che è valutata da un finanziatore (soggetto privato) fin dallo stato iniziale in funzione della redditività e del flusso di cassa (cash flow) che essa è in grado di generare, che costituiscono la garanzia primaria per il rimborso del debito ed il capitale di rischio (equity).

Contraente generale (art. 9 d.lgs 190/02): è il contratto tra un soggetto privato e la PA avente ad oggetto la progettazione, l’esecuzione con qualsiasi mezzo ed il prefinanziamento dell’opera a fronte di un corrispettivo pagato dalla PA in tutto o in parte a lavori ultimati. Il prefinanziamento può avere un limite massimo pari al 20% dell’importo posto a base di gara.

Società mista TUEL (artt.113, V comma, lett.b, 116 e 120 del TUEL): è una società tra la PA ed un soggetto privato per la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica, oppure per la realizzazione di opere connesse al servizio pubblico o ancora per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana.

Società mista ai sensi del codice civile (art.2247 e ss): è una società tra la PA ed il soggetto privato per la realizzazione e/o gestione dei ll.pp.

Società di trasformazione urbana - S.T.U. (art. 120 del TUEL): le Città Metropolitane ed i Comuni possono costituire, per la progettazione e la realizzazione di interventi di trasformazione urbana, per la commercializzazione delle aree riqualificate e per la gestione degli eventuali servizi pubblici, società di capitali miste pubblico-privato.
La STU è una società strettamente legata al ruolo degli Enti locali nell’assetto del loro territorio.
Esempi di STU
– il Comune di Bolzano recupera l’area circostante della stazione ferroviaria;
– il Comune di Bergamo interviene sullo scalo ferroviario;
– il Comune di Livorno interviene per la riqualificazione del tessuto urbano;
– il Comune di Piombino interviene per sostituire gli impianti industriali;
– il Comune di Terni interviene per promuovere il terziario avanzato;
– i Comuni di Formia e Gaeta intervengono per riqualificare il litorale Sud-Pontino;
– il Comune di Pescara interviene per recuperare: aree degradate, sia della periferia urbana che degli insediamenti produttivi dimessi;
– il Comune di Napoli recupera l’area industriale nella zona orientale;
– il Comune di Crotone ha affidato a due società la trasformazione dell’area della stazione e quella del porto;
– il Comune di Siracusa è intervenuto per rivitalizzare il centro storico;
– il Comune di Sant’Antioco è intervenuto per valorizzare il territorio a livello turistico.

Fondazione di partecipazione (art. 14 e ss codice civile) è un negozio tra PA e privato per la gestione dei servizi pubblici.

Global Service (norma UNI 10685/98): contratto di esternalizzazione basato sui risultati, che comprende una pluralità di servizi sostitutivo delle normali attività di manutenzione di un immobile o di un patrimonio immobiliare con piena responsabilità dei risultati da parte dell’assuntore.

Acquisto di cosa futura (art. 1472 codice civile): contratto avente ad oggetto l’acquisto della proprietà di un bene immobile appena questo viene ad esistenza.

Leasing operativo: è il contratto tra una società concedente che produce o gestisce il bene e la PA utilizzatrice del bene. La PA utilizzatrice corrisponde un canone alla società concedente comprendente gli oneri relativi alla disponibilità, la quota di ammortamento e gli oneri finanziari e le spese di manutenzione.

Sale & Leaseback: è il contratto con cui la PA cede la proprietà di un bene ad un privato che glielo concede in godimento a fronte di un canone mensile. La PA può alla fine del periodo di godimento riscattarsi il bene pagando la rata finale.

b) PPP nella prassi internazionale.

Contracting Out: contratto con un soggetto privato per la progettazione e costruzione di opere pubbliche che vengono finanziate e restano in capo al soggetto pubblico. Si ha un trasferimento del rischio di costruzione e di progettazione in capo al privato, un contenimento dei tempi di realizzazione, non si coinvolgono i capitali privati. Tale operazione risulta essere particolarmente adatta a situazioni in cui il soggetto pubblico preferisce ritenere la responsabilità operativa.

D.B.F.T. (Design, build, finance and transfer): è un contratto con cui un’azienda privata progetta e costruisce una nuova infrastruttura e quindi la trasferisce alla stessa PA. Tale operazione prevede il coinvolgimento del capitale privato, il privato assume il rischio di progettazione e costruzione. E’ un’operazione adatta alla realizzazione di progetti con elevati requisiti, quali infrastrutture stradali.

D.B.F.O. (Design, Build, Finance and Operate): si tratta di un modello in cui una azienda privata progetta e costruisce una nuova infrastruttura, la gestisce per un numero determinato di anni e poi la trasferisce al soggetto pubblico. Tale operazione prevede il coinvolgimento del privato a due livelli economico (capitale investito) gestione dell’opera (know-how). E’adatta a progetti con elevati requisiti progettuali e gestionali, determina il trasferimento del rischio di progettazione, costruzione e gestione dell’infrastruttura in capo al privato.

B.L.T. (Build Lease and Transfer): un’azienda privata a fronte di un canone concordato acquisisce i diritti dei ricavi di un servizio pubblico, in cambio della gestione dello stesso. Tale operazione determina il trasferimento del rischio commerciale a carico del privato è particolarmente adatta ad operazioni complesse.

B.O.T. (Build Operate and Transfer): è un contratto di concessione di costruzione e gestione di una nuova infrastruttura a tempo determinato con trasferimento finale dell’opera alla PA. Tale operazione si caratterizza per il coinvolgimento del capitale privato e per il trasferimento del rischio di progettazione e costruzione in capo al privato medesimo. E’ una operazione adatta a progetti con elevati requisiti gestionali (es settore idrico e gestione rifiuti).
Service Contracts: è un contratto attraverso il quale il privato viene coinvolto esclusivamente per la prestazione di specifici servizi (es. manutenzione e contabilità). E’ una operazione adatta a situazioni in cui il soggetto pubblico preferisce trasferire la responsabilità operativa, avvalendosi dell’apporto dell’esperienza del privato.

Management Contract: trasferisce la responsabilità della gestione e della manutenzione di servizi pubblici di proprietà del settore pubblico al settore privato. Tale operazione è adatta in tutte le fattispecie in cui una previa analisi costi-benefici ne evidenzi l’utilità, il corrispettivo del privato può essere correlato al raggiungimento di determinati standard qualitativi.

Concession: è un contratto di concessione di gestione che trasferisce al privato la responsabilità della gestione e della manutenzione degli investimenti, lasciando che la proprietà degli asset resti pubblica. E’ adatto ai progetti in cui è possibile una tariffazione.


7. GLI ENTI LOCALI E IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO

In questi ultimi diciannove anni si è sviluppato un importante dibattito intorno al ruolo degli Enti Locali, tanto in sede nazionale quanto in sede comunitaria.
In sede Europea, nel 1986, con l’approvazione della “Carta delle Autonomie Locali”, sono stati affermati i fondamentali principi della sussidiarietà (cioè l’Amministrazione deve essere assegnata all’Ente più vicino al Cittadino), dell’autonomia (nell’accezione politica, normativa ed organizzativa) e della partecipazione popolare
La parola chiave in grado di racchiudere l’essenza del processo riformatore che ha investito gli Enti Locali, quantomeno sino al 1997, è stata la parola autonomia.
La legge che ha segnato un passo importante nel processo di riforma istituzionale, partendo dal basso, cioè dalle realtà locali, è stata la legge n. 142 del 1990.
Il principio di sussidiarietà ha cominciato a prendere corpo nel 1997 con l’approvazione della legge n. 59.
Dal 1997 al 1999 abbiamo avuto una serie impressionante di disposizioni legislative tra le quali citiamo:
– legge 127/97 meglio nota come Bassanini bis;
– una serie di decreti legislativi tra cui il più importante è il D.lgs 112/98;
– la legge 265 del 1999 meglio nota come legge Napolitano- Vigneri;
Quasi a porre rimedio al proliferare della legislazione degli ultimi anni, il Governo ha approvato il T.U. degli EE.LL. (D.lgs 267/2000) che, pur non innovando in merito alla sostanza delle leggi preesistenti, ha il pregio di aver coordinato e accorpato la normativa vigente, anche alla luce dei prevalenti orientamenti giurisprudenziali.
La legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001, ha costituito il punto di arrivo del processo riformatore iniziato nel ’90 con la L. 142.
Il nuovo testo costituzionale prevede l’articolazione della Repubblica, com’è noto, nei comuni, nelle province, nelle città metropolitane, nelle regioni e nello Stato.
Accanto allo Stato, gli Enti del governo territoriale, nelle predette quattro categorie indicate dalla norma, sono enti esponenziali delle rispettive comunità, chiamati ad amministrarne gli interessi (“enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione (art. 114)).
Il sistema che si sta introducendo è un sistema a geometria variabile, differenziata, che sostituisce l’unitarietà e l’uniformità amministrativa a cui eravamo e siamo ancora abituati.


7.1 LE ESPERIENZE DI PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO NEGLI
ENTI LOCALI ITALIANI: LA CAMPANIA

È la regione che, nel 2003, ha presentato più progetti di PPP.

- NAPOLI PORTO: con questo progetto è partita la 2° fase della ristrutturazione dell’area portuale. La Società NAUSICA S.p.A., composta da: Autorità portuale, Comune di NA, Province di NA, e dalla Regione Campania, ha bandito un concorso internazionale di progettazione per la riqualificazione urbanistica, architettonica e funzionale dello scalo marittimo. Il valore dei lavori è di 50 milioni di euro, mentre 2 milioni e 320 mila euro sono previsti per la progettazione. Sono stati presentati, da studi di ingegneria e architettura, 150 progetti.
Una parte importante dei lavori saranno portati avanti in PPP o in project financing.

- NAPOLI ORIENTALE S.p.A.: con sei milioni di metri quadrati è la più estesa area dismessa del Sud. Soci: Comune NA, Provincia NA, Autorità Portuale, Unione Industriali NA, Confartigianato e API Napoli. Compito delle società è quello di presentare un piano di fattibilità economico-finanziaria che delinei un’ipotesi di riqualificazione dell’area. A novembre 2003 è stata presentata l’idea di lasciare gli impianti petroliferi a Napoli Est seppure in un’area limitata riqualificando il resto dell’area a fini commerciali, museali, turistici e alberghieri costituendo una STU per gestire gli interventi.

- SOTTOPASSO TUNNEL VIA ACTON è parte del “Progetto Integrato Napoli” e tra gli obiettivi ha quello di eliminare o almeno ridurre la barriera di auto nella zona del porto e verrà realizzato in project financing con 150 milioni di euro finanziati dalla Regione Campania ed utilizzando altre risorse che un altro project financing ha liberato nella realizzazione del progetto “Porto Fiorito”. La realizzazione del sistema dei collettori, l’adeguamento degli impianti di depurazione delle zone di Acerra, Cuma, Foce Reg Lagni, Marcianise e Napoli-Nord, nonché la realizzazione o l’adeguamento degli impianti di trattamento dei fanghi è stata assegnata in project financing.

- FLEGREA LAVORO SPA – BACOLI (NA)[8]: il Comune di Bacoli, nel 2000, al fine di dare ordine al traffico cittadino, e di ridurre il fenomeno dei parcheggiatori “abusivi”, ha deciso di introdurre il sistema dei parcheggi pubblici a pagamento. Per gestire questo nuovo servizio il Comune, nell’agosto 2000, ha deliberato la costituzione di una società mista, una società per azioni a maggioranza pubblica (il 51% del capitale sociale) ove i soci sono costituiti dal Comune di Bacoli e da Italia Lavoro. La scelta di costituire una società è legata non solo a motivazioni di tipo gestionale associate all’efficienza, all’efficacia e all’economicità, ma soprattutto a motivazioni di tipo sociali, all’esigenza di dare un lavoro a sei “lavoratori socialmente utili”. La società costituita è la “Flegrea Lavoro S.p.A.” con capitale sociale pari a trecento milioni di lire, opera su tutto il territorio comunale, che ha un’estensione di circa 13 Km quadrati e conta circa 27.000 abitanti ed eroga il servizio attraverso i sei lavoratori socialmente utili che ha assunto direttamente.
I posti parcheggio messi a disposizione dal Comune alla “Flegrea Lavoro S.p.A.” sono circa 700, la società eroga il servizio dalle ore 8,00 alle ore 20,00 ad un prezzo di 0,52 euro l’ora e, qualora vengano rilevate delle vetture in divieto di sosta, i dipendenti della Flegrea emettono dei verbali che sono poi riscossi dal Comune.

La Regione Campania nel POR 2000-2006 ha previsto espressamente che le Province debbano promuovere, per ogni ambito territoriale, l’istituzione dei PPP che potranno essere composti da EE.LL, associazioni ed organizzazioni rappresentativi del mondo agricolo e produttivo, organizzazioni operanti nel settore della tutela ambientale, della promozione turistica e del volontariato.


8. CONCLUSIONI

Il fenomeno del Partenariato Pubblico Privato ha caratterizzato in maniera sostanziale la realtà nazionale e internazionale dell’ultimo decennio, sviluppandosi in molti settori rientranti nella sfera pubblica (trasporti, sanità, istruzione e sicurezza).
L’interesse nei confronti di questo fenomeno è riconducibile agli enormi vantaggi (fiscali, economici, tecnologici, politici e sociali) che possono derivare dalla cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato e, dunque, dall’ottimale allocazione e divisione dei rispettivi rischi.
Affinché questo si verifichi è necessario un enorme e concreto sforzo ed impegno da parte dei governi (oltre che ovviamente da parte dei privati).
In primo luogo bisogna che l’ordinamento legale sia credibile, che vi sia un efficiente sistema di leggi commerciali che permettano alle attività finanziarie, aziendali e commerciali di crescere. In assenza di questo deve almeno essere possibile garantire, comunque, gli interessi essenziali del settore privato.
Detto questo servono concretamente dei provvedimenti normativi: il governo deve avere l’autorità per dare le concessioni o le licenze che rendono possibile la partecipazione del settore privato in un progetto di infrastrutture o un servizio pubblico; questo non é sempre facile e spesso si rende necessario l’inserimento di leggi ad hoc.
Il processo di acquisizione con il quale un PPP viene formato deve essere trasparente, giusto, regolare e forte in modo da attrarre il massimo interesse da parte di potenziali partner privati.
Il settore pubblico spesso deve fornire alcune strutture, o il diritto ad utilizzarle, al PPP affinché questo sia fattibile e finanziabile. Queste strutture possono includere terreno, strutture esistenti, un canale di reddito pubblico esistente, sussidi e concessioni, progetti e proprietà intellettuale, ecc.
Oltre a ciò bisogna tener conto del fatto che i PPP sono facilitati da un impegno chiaro e di lungo termine, in quanto il settore privato, per impegnarsi, deve aver fiducia in una stabile politica di sviluppo.
Per stimolare gli investimenti dei privati nelle infrastrutture i governi devono impegnarsi a promuovere un ribilanciamento delle tariffe dei servizi esistenti in modo che riflettano i costi attuali in esso implicati.
Un altro elemento importante è la fiducia del settore privato nell’amministrazione pubblica in questione; i progetti PPP richiedono tempo e impegno per essere attuati e se la burocrazia si fa troppo complicata allora gli investitori guarderanno altrove.
Ma il punto cruciale è che i governi devono essere pronti ad assumersi certi rischi e responsabilità senza i quali il progetto non andrà avanti e, nel caso in cui i pagamenti per l’uso della struttura non provengano direttamente dal pubblico, potrebbero dover fornire essi stessi un flusso di reddito per il progetto.
Da quanto detto emerge chiaramente come possa essere difficile la realizzazione di progetti PPP, soprattutto in considerazione del fatto che quelle condizioni essenziali individuate dalla COM (2003) 132 (§ 3, pp. 7,8), non sempre vengono soddisfatte e rispettate nella pratica.
D’altro canto, lo stesso termine “Partenariato Pubblico Privato” abbiamo visto non essere definito a livello comunitario: il Libro Verde, pubblicato nell’aprile 2004 dalla Commissione Europea, ha avviato un processo di ricognizione delle situazioni attualmente vigenti nei diversi Stati membri con il fine eventuale di arrivare ad identificare un quadro di regole comuni e condivise in materia di forme di collaborazione tra soggetti pubblici e soggetti privati.
In particolare, l’interesse del Libro Verde risiede nella puntualizzazione di alcune regole di base affinché le forme di partenariato pubblico-privato possano considerarsi coerenti con i principi generali di diritto comunitario, superando di fatto l’estrema eterogeneità dei rapporti e degli istituti giuridici, riconducibili alle molteplici forme possibili di PPP.
Con riferimento al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, infatti, vengono delineati due tipi di PPP, quello di tipo puramente contrattuale e quello istituzionalizzato, da realizzarsi nel pieno rispetto dei principi del Trattato e a cui sembra possibile ricollegare la diversità delle pratiche in materia di PPP che si riscontrano per l’appunto negli Stati dell’UE.
È in tale ottica, dunque, che la nostra attenzione è stata rivolta soprattutto al Libro Verde quale primo passo per l’eventuale adozione di una normativa ad hoc che disciplini il fenomeno a livello comunitario in funzione di un migliore coordinamento delle pratiche nazionali, dello scambio di best practices tra gli stati membri e della diffusione di PPP anche transeuropei.

[1] Cfr. Borgonovi E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Giuffré, Milano, 1975, pag. 62.
[2] I Libri verdi sono documenti di riflessione su un tema politico specifico pubblicati dalla Commissione. Sono prima di tutto documenti destinati a tutti coloro - sia organismi che privati - che partecipano al processo di consultazione e di dibattito. In alcuni casi, rappresentano il primo passo degli sviluppi legislativi successivi.
I Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico. Talvolta fanno seguito a un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a livello europeo. Mentre i libri verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione.

[3] I contratti PPP hanno sempre una durata molto lunga, di solito tra i 25 e i 30 anni.
[4] Costruire e gestire una infrastruttura pubblica comporta diversi rischi: l’aumento dei costi di costruzione, costi di manutenzione più alti del previsto, cambi nella legislazione che influenzano l’uso dell’infrastruttura, aumento o diminuzione della richiesta dei servizi forniti e così via. A questi rischi faceva tradizionalmente fronte il settore pubblico, nei progetti PPP invece i rischi devono essere specificati, quantificati e ripartiti, e vengono divisi tra settore pubblico e settore privato. È fondamentale che il rischio sia allocato alla parte che è più capace di controllarlo, la quale riceverà in cambio maggiori benefici economici. Generalmente i rischi a carico del settore pubblico sono trasferiti sul partner privato: i governi tendono ad assumersi i rischi politici ma non quelli economici o finanziari del progetto. Quando una sostanziale parte del rischio è trasferita al settore privato si parla di finanziamento “off-balance sheet” (fuori dal bilancio) e in tal caso le spese sostenute dal privato non incidono sul debito pubblico.
[5] I vantaggi che i PPP possono offrire sono di vario tipo: fiscali, economici, tecnologici, sociali, politici.
Tra i vantaggi fiscali vale la pena di menzionare, come detto in precedenza, che i PPP permettono di prendere a prestito somme di denaro off balance sheet; questa forma di finanziamento, alleggerendo il peso del debito, permette di utilizzare le risorse pubbliche in altre aree.
Uno dei vantaggi economici è la velocità nel compimento delle opere. Sfruttando le finanze del settore privato e alleggerendo i progetti dalle restrizioni della spesa pubblica, i PPP possono accelerare la velocità con la quale i progetti di infrastrutture sono lanciati. Questo permette la realizzazione dei progetti in circostanze in cui non sarebbero altrimenti possibili.
Con riferimento all’area sociale i PPP possono offrire migliori reti di trasporto, acque più pulite, nuovi sistemi di comunicazione, ecc.
[6] La valutazione della convenienza di tale operazione deve essere, però, valutata concretamente caso per caso, attraverso la costruzione di un parametro detto Comparatore del Settore Pubblico (CSP), ossia il costo ipotetico in cui incorrerebbe il soggetto pubblico nel realizzare il progetto.
[7] L'esempio più tipico di questo modello è l'operazione di tipo PFI. Il termine PFI si riferisce a "Private Finance Initiative", un programma del governo britannico che permette l'ammodernamento delle infrastrutture pubbliche con l'ausilio del ricorso al finanziamento privato. Lo stesso modello è utilizzato in altri Stati membri, con varianti a volte notevoli.
[8] Citazione da Impagliazzo C. - Ippolito A, Il ruolo delle aziende miste nello sviluppo di nuovi rapporti tra pubblico e privato e nella creazione di valore sociale: il caso della Flegrea lavoro.

Osservazioni sul Mentire

A cura di Arminante Antonella, De Luca Melania, Gualtieri Teresa.




«Niente di quello che ho detto è vero, non perché non sia vero ma perché l’ho detto[1],
e viceversa
niente di quello che ho detto è falso, non perché non sia falso ma perché l’ho detto».

Con queste parole Emilio Garroni, nel saggio Osservazioni sul mentire[2], ci introduce nel secolare dibattito sulle relazioni tra verità e menzogna, tra il dire il vero e il dire il falso.
Prima di procedere all’analisi delle tematiche affrontate nell’opera, si rende necessario un chiarimento terminologico per evitare fraintendimenti: non si parlerà di bugia e verità in senso assoluto, ma i termini veridico/veritiero/veridicità saranno utilizzati nell’accezione di «non-bugiardo», ovvero «che dice ciò che ritiene essere vero».
Lo scopo dell’autore è comprendere il comune fondamento della bugia reale e della bugia letteraria. Ciò avviene attraverso una riflessione per analogie e contrasti che dapprima prende in esame le circostanze reali del mentire, per confrontarle poi con quanto accade all’interno della finzione che si crea nel testo letterario. D’altro canto, come sottolinea lo stesso Garroni, «Non sarebbe possibile il “bugiardo letterario” se non ci fosse un “bugiardo realeo, meglio, se in qualche modo non ci fosse una condizione del mentire».

Nella realtà è possibile osservare una vasta fenomenologia del bugiardo[1]:
Il bugiardo sociale costruito che, assetato di consenso, mente per integrarsi nel gruppo. Porta una maschera e, se qualcuno mette in dubbio le sue affermazioni, smentisce con disperazione. E’ un soggetto che tende a credere che le sue bugie non sono in realtà bugie, pur essendo ossessionato dal sospetto che potrebbero esserlo davvero;
Il bugiardo politico e realistico, che presuppone che tutti si comportino come lui, da bugiardi, pur dichiarando l’opposto. E’ preoccupato non tanto del fatto che gli altri gli credano, quanto piuttosto del fatto che le menzogne abbiano successo. Accusato, smentisce con altre bugie o mezze bugie;
Il bugiardo mondano, disinteressato, mente perché mente, senza aver necessariamente scopi pratici. Se viene scoperto neppure smentisce, può sorridere, insistendo sulla bugia o riconoscendo candidamente di aver mentito;
Il bugiardo esiliato dalla società nella società è infantile, angosciato, inquieto e candido allo stesso tempo. Mente e lascia, quasi sempre, indizi pericolosi delle proprie bugie proprio per essere scoperto come bugiardo.

Alla luce di quanto detto finora, dunque, non possiamo spiegare il fenomeno della bugia e del bugiardo con un’unica motivazione, ma possiamo comunque individuare una caratteristica comune: il tratto della socialità.
È la pratica sociale a far emergere la bugia. Lo sostiene anche Oscar Wilde, in La decadenza della menzogna, quando parla di un mitico cavernicolo protobugiardo come del fondatore delle relazioni sociali e della società civile[2]: «il protobugiardo è senza dubbio il vero iniziatore dei rapporti sociali perché l’obiettivo del bugiardo è affascinare, procurare piacere e gioia. Costui incarna le radici della società civile». Egli, una sera, pur non essendo mai uscito dalla caverna per andare a caccia, quando tutti erano riuniti attorno al primo fuoco che mai si fosse acceso, si mise a raccontare di come avesse ucciso il più grosso dinosauro che mai uomo avesse ucciso e, alla richiesta di prove per quanto raccontava, si inventò l'improvviso arrivo di una squadriglia di pterodattili che con i loro artigli avevano sollevato la preda e l'avevano portava via, con ciò unendo frottola a frottola.
Questa capacità di creare qualcosa di simile alla realtà, ma allo stesso tempo di diverso, fonda i rapporti sociali; detto altrimenti, non è sufficiente la pura elaborazione, è necessario anche comunicare a qualcuno questa invenzione. Le motivazioni di tale gesto possono essere fondamentalmente due, ossia la bugia può esser detta per gioco (una bugia fine a se stessa) o per ottenere qualcosa di più (per ingannare). Nel primo caso si ha la dimensione letteraria, i romanzi, le avventure di personaggi inventati che vivono in un universo così vicino e allo stesso tempo lontano da quello della nostra realtà quotidiana. Il secondo è l'ambito dell'inganno per avere un vantaggio personale, un avere di più che la sola nostra dotazione naturale non sarebbe in grado di garantire[3].

Il bugiardo, quindi, non può essere un solitario; è piuttosto il prototipo dell’uomo sociale: la menzogna corrisponde alle aspettative di chi la ascolta, anzi presuppone un “intelligenza” delle aspettative di verità di chi vuole ingannare. Solo se c’è da parte del bugiardo un autentico intus legere, ovvero un “leggere dentro” la mente della sua vittima, egli può sperare di essere creduto. Non c’è bugia senza comprensione dell’altro.
Inoltre non c’è bugia senza conoscenza della verità. Questa questione trova ampio spazio già nelle pagine del Sofista di Platone quando si dice: «Vera è la proposizione che dice su di te le cose come sono, mentre falsa è quella che dice di te cose diverse da quelle che sono. […] (La proposizione falsa) afferma cose che sono, ma diverse da quelle che sono in relazione a te». Il falso, la menzogna non sono il nulla, ma il diverso. Solo tenendo presente i concetti di alterità e di relazione, il concetto di menzogna acquista un significato e una possibilità oggettiva di realizzarsi. È paradossale ma è così: la menzogna, per essere tale, necessita della presupposizione di quella verità che il discorso menzognero provvede poi a negare in un secondo momento. «Il mentire è un condividere (e tradire, aggiungiamo noi) le più generali e specifiche condizioni necessarie di veridicità», sostiene Garroni.
Si può osare addirittura affermare che sia più legato alla veridicità il bugiardo che non il veridico. Il veridico, infatti, è veridico qualunque cosa gli altri pensino di ciò che dice; la coscienza della sua veridicità lo difende a sufficienza da qualsiasi attacco possibile. Il bugiardo, invece, non si rinchiude in un suo universo separato, disinteressandosi se gli altri lo credano o no, ma sceglie contemporaneamente di condividere e di tradire le condizioni del comune comunicare, sceglie due volte.
Inoltre, dal momento che la bugia deve avere un corso, non può non averlo che all’interno del linguaggio condiviso dal gruppo, ovvero all’interno del cosiddetto linguaggio-contesto che il bugiardo condivide con la comunità di parlanti in cui è inserito[4].

Proprio in quanto ha bisogno di condividere un linguaggio-contesto con altri, il bugiardo apporta ad esso le minori possibili variazioni che non debbano essere percepite come tali dagli altri. Il principio cui si ispira è quello del “minimo sforzo”: la bugia proprio perché deve essere forte ed efficace non è mai un’infrazione clamorosa ed ogni nuova bugia è sostenuta dalle bugie precedenti incorporate nel linguaggio-contesto condiviso.
In realtà nessun atto linguistico è la pura e semplice ripetizione di qualcosa di già completamente contenuto in un linguaggio-contesto condiviso: ogni atto linguistico comporta almeno una piccola variazione in un dato o aspetto del contesto, nel significato di una parola o espressione etc.. Quindi, per assurdo, il veridico mente sempre un po’ in quanto apporta variazioni anche solo minime al linguaggio-contesto condiviso, contribuendo alla sua conservazione-trasformazione; e il bugiardo è sempre un po’ veridico in quanto, apportando variazioni al linguaggio-contesto, contribuisce allo stesso modo del veridico alla sua conservazione-trasformazione[5].
Ciò non vuol dire che veritiero e menzognero siano la stessa cosa.
Infatti un’affermazione sarà definita di volta in volta veritiera o menzognera rispetto a certe condizioni fattuali che standardizzano il contesto-linguaggio di riferimento. Ad esempio, nel caso in cui, in uno scambio comunicativo, si sia verificata un’incertezza o uno scarto nella comunicazione, si fa di solito richiesta di un chiarimento, di una precisazione, che possa essere d’aiuto nel ricollegare l’origine del misunderstanding ad una menzogna o semplicemente ad un comportamento linguistico non convenzionale.
L’individuazione di una bugia, dunque, implica una lunga e problematica procedura di riformulazione, esplicitazione e di espansione del contesto volta ad appurare se le variazioni apportate al linguaggio-contesto vengono via via portate alla luce o sono, invece, ostinatamente presentate dal nostro mendace interlocutore come non-variazioni, come pure e semplici repliche del già condiviso.
In sostanza, il bugiardo si configura, oltre che come prototipo dell’uomo sociale, anche come un conservatore: egli non si ferma neanche di fronte all’evidenza, in quanto tenta di far passare come già previste le variazioni da lui apportate, pur essendo queste ultime delle variazioni palesemente finalizzate a portare fuori strada l’interlocutore.

È evidente che la procedura di riformulazione di cui si è detto non è che la specificazione di ciò che è l’intenzione del parlante.
L’idea di intenzionalità sembrerebbe fungere da vera e propria ultima condizione, presumibilmente anche sufficiente, della possibilità del veritiero e del menzognero.
Se si vuole analizzare a fondo il tema dell’intenzionalità, non si può non prendere in considerazione la riflessione filosofica di Sant’Agostino che, pur ricollegandosi a questioni più strettamente teologiche, ci offre comunque degli spunti interessanti.
Per Agostino non tutte le falsità sono menzogne: è mendax colui che vuole ingannare, indipendentemente dalla veridicità delle sue parole. Il male non è nell’errore, ma nell’intenzione di voler fare credere ciò che si ritiene un errore, non nell’ingannarsi ma nell’ingannare. Ovvero la menzogna non è sovrapponibile all’errore.
Di conseguenza, per arrivare ad una definizione chiara della menzogna si deve prendere necessariamente in considerazione il fattore dell’intenzionalità.
«Non è bugiardo chi dice il falso, perché questi potrebbe sbagliarsi, potrebbe scherzare, potrebbe dire il falso per indurre a credere il vero: bugiardo è chi è doppio nella voluntas, chi vuole ingannare esprimendo, con le parole o con altri mezzi, qualcosa di diverso da ciò che crede vero, con la chiara intenzione di far passare per vero il falso». Si mente, quindi, solo se c’è intenzione di mentire. Inoltre chi mente, secondo Sant’Agostino, ha un cor duplex, un cuore doppio, perché pensa una cosa diversa da quella che dice: «ha un pensiero della cosa che sa o ritiene vera e che non dice, un altro di quella che sa o ritiene essere falsa e che dice al posto del primo. Da ciò deriva che si possa dire il falso senza mentire […] e che si possa dire il vero mentendo […]. È dunque dall’intenzione dell’animo e non dalla verità o falsità delle cosa in sé che bisogna giudicare se uno mente o non mente» [6].
Nella valutazione che Sant’Agostino fa della menzogna, dunque, si realizza il passaggio da uno schema diadico (basato sulla struttura mente-parola) ad uno schema triadico (basato sulla struttura mente-volontà-parola)[7].

Si attesta su tutt’altra posizione Garroni, che, invece, sottolinea come le intenzioni dei nostri atti, linguistici e non, siano labili ed insondabili, e quindi rappresentino solo apparentemente una condizione sufficiente della possibilità del veritiero e del menzognero.
Le intenzioni, infatti, non sono mai così nette, anzi sono sempre un po’ ambigue, spesso molteplici, talvolta incapsulate l’una dentro l’altra come scatole cinesi. Ad esempio: si può consapevolmente mentire su aspetti di una questione ritenuti trascurabili, nella convinzione di essere intenzionalmente veridici per gli aspetti essenziali; viceversa, si può essere per un verso veridici pur essendo la nostra veridicità condizionata per altro verso da un’intenzione menzognera che tende a portare fuori strada l’interlocutore[8].

Queste riflessioni, emerse dall’osservazione dalla realtà quotidiana, trovano conferma anche nell’opera letteraria; come sostiene Garroni «una comprensione della menzogna ha rapporti con l’opera letteraria in genere».
Se esaminiamo i bugiardi nella letteratura, anche in questo caso non ci troviamo di fronte ad una “intenzione osservabile” che possiamo leggere direttamente nel testo.
Infatti, pur specificando l’autore tutte le condizioni fattuali per cui una determinata bugia è una bugia, e pur attribuendo esplicitamente ad un personaggio l’intenzione di mentire, l’ambiguità e la labilità, a cui abbiamo precedentemente fatto riferimento, tendono a persistere[9].
È vero, infatti, che ad un personaggio possano essere attribuite intenzioni, ma in realtà egli, in quanto personaggio, non ha intenzioni, semplicemente è il suo autore a prestargliele, spesso solo in situazioni puntuali, non estensibili al contesto complessivo dell’opera.
Ambiguità e menzogna, d’altra parte, sono caratteristiche inerenti essenzialmente al linguaggio: sembra esistere un fondato sospetto che la bugia si inscriva nel parlare stesso. È in questo senso che si coglie l’analogia tra menzogna reale e menzogna letteraria. Dice Eco: «C’è lingua dove c’è menzogna»[10].
Viceversa, la menzogna letteraria differisce dalla menzogna reale, in quanto nell’opera letteraria manca quella “buona volontà dei parlanti” che consente, nella realtà, di limitare e controllare l’ambiguità quel tanto che basta agli scopi del parlare e del comunicare. Nella realtà, le procedure di riformulazione del contesto proseguono fino al momento in cui i parlanti trovano un accordo e si ritengono soddisfatti, in un testo letterario ciò non è possibile. Ciò implica che se il personaggio è un bugiardo, lo è nella misura in cui lo si dice e lo si specifica, non oltre quella misura: non sono possibili espansioni del linguaggio-contesto, ovvero integrazioni idealmente infinite sullo stesso piano della descrizione letteraria.
Tuttavia, l’essere bugiardo del bugiardo, proprio per la sua finitezza, non è mai una caratterizzazione definitiva e interpretativamente conclusiva: è un essere bugiardo sospeso alla sua finitezza ma aperto ad un’interpretazione idealmente infinita. Sebbene, ad esempio, un personaggio dica spesso le bugie al modo di un bugiardo per vocazione, sarebbe errato o quantomeno fuorviante interpretarlo sempre come il bugiardo.

Un personaggio letterario, e l’opera a cui appartiene, quindi, possono essere considerati come un insieme di atti linguistici che presuppongono un linguaggio-contesto condiviso (ovvero il linguaggio-contesto della scrittura di un certo tipo di opere in un certo momento storico), che può essere modificato più o meno profondamente. Di qui la possibilità di cogliere un’ulteriore analogia tra letteratura e menzogna: entrambe hanno alla base meccanismi simili di funzionamento.
Ma rispetto alla menzogna e alla non-menzogna (che, come abbiamo visto nel corso di questo lavoro, presuppongono condizioni di verità comuni e una problematica determinazione delle intenzioni), nell’opera letteraria si manifesta qualcosa come una vera e propria indistinzione tra veridicità e non veridicità. L’opera letteraria è insieme veridica e menzognera, e quindi né propriamente veridica, né propriamente menzognera. In essa, semplicemente, si realizza e si manifesta in modo esemplare il costruirsi, l’assestarsi e il modificarsi di un linguaggio-contesto. Nell’opera letteraria trovano espressione quelle condizioni del dire veritiero e del dire menzognero che nella realtà sono indicibili; l’opera stessa è, anzi, l’esito concreto (quindi esplicito) della comprensione (che è implicita) da parte dell’autore di ciò che è veritiero/non-veritiero.

In questo breve percorso attraverso la menzogna reale e letteraria abbiamo constatato come la condizione universale e necessaria del mentire sia precisamente e nello stesso tempo la condizione universale e necessaria dell’essere veridici. L’opera letteraria non fa altro che mettere esplicitamente sotto i nostri occhi questa duplicità, che è la prova dell’esistenza di una vera e propria vocazione alla menzogna; come dice Garroni: «vivere, fare, esperimentare, parlare, conoscere, pensare è sempre qualcosa che oscilla tra veridicità e menzogna, tra l’avere-a-che-fare-con-qualcosa e il farlo-passare-per-qualcosa-d’altro»[11].

«Niente di quello che ho detto è vero, non perché non sia vero ma perché l’ho detto[12],
e viceversa
niente di quello che ho detto è falso, non perché non sia falso ma perché l’ho detto»
NOTE
[1] Oltre che dei bugiardi, i filosofi si sono più spesso occupati della bugia, della quale, in letteratura, esistono molteplici tassonomie. Ricordiamo in questa sede quelle di Sant’Agostino e Jean Jaques Rousseau.
Sant’Agostino, nella seconda parte del De Mendacio, classifica le menzogne in base al loro utilizzo e in ordine decrescente di gravità:
1. Convertire qualcuno (ed è gravissimo mentire in materia di fede);
2. Far del male tout court;
3. Godere dell’inganno;
4. Fare un piacere a qualcuno nuocendo ad altri;
5. Fare un piacere senza nuocere a nessuno;
6. Ravvivare la conversazione;
7. Salvare una vita;
8. Evitare a qualcuno di subire un oltraggio impuro.
Jean Jaques Rousseau, nelle Confessioni, classifica quattro tipi di menzogna:
1. L’impostura, quando si mente per un vantaggio personale;
2. La frode, quando si mente a vantaggio di altri;
3. La calunnia, quando si mente con l’intento di nuocere;
4. La “bugia innocente”, quando si tace o si deforma una cosa di nessuna utilità o non si reca alcun danno: è la semplice finzione.
[2] Cfr. Oscar Wilde, La decadenza della menzogna, Mondadori, 1995, pag 41-42.
[3] Emblema di quest'atteggiamento nei confronti della vita è la figura di Ulisse. Durante le sue peregrinazioni in giro per il mediterraneo, viene delineato un individuo ambiguo che non mente solo per salvare la propria vita e quella dei compagni, come potrebbe sembrare ad un primo sguardo, ma anche per il semplice gusto della menzogna. Cfr. Andrea Tagliapietra, Filosofia della bugia, Mondadori, 2001, pag. 126.
[4] La nozione di linguaggio-contesto può essere ricondotta alla concezione del linguaggio espressa da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche. Secondo il filosofo, infatti, il linguaggio, così come è effettivamente usato, è un insieme di espressioni che svolgono funzioni diverse nell’ambito di pratiche e regole discorsive differenti; nasce in relazione ad un insieme di circostanze che egli definisce forme di vita; ed è uno strumento della vita di una comunità.
[5] Il concetto di linguaggio-contesto ha una dinamica e non è descrivibile in maniera netta; dice Garroni: «è precisamente un centro che è immerso nella sterminata periferia del parlare in genere, estendentesi a perdita d’orizzonte e generatrice di centri virtualmente infiniti; che è in rapporto, anche d’intersezione, con innumerevoli altri centri; che è sempre disposto a modificarsi dall’interno, nonché a integrarsi o a distinguersi da altri centri in nuove configurazioni».

[6] Cfr. Agostino, De mendacio, III, 3.
[7] Cfr. Andrea Tagliapietra, Filosofia della bugia, 2001, Bruno Mondatori, pagg. 257-258.
[8] D’altra parte, lo stesso Garroni sottolinea l’esistenza di un rapporto tra veritiero/menzognero e tra vero/non vero affermando: «In tanto si può essere veridici e anche mentire, in quanto si sa o si presume di sapere che c’è qualcosa come il vero». Esiste quindi un’esigenza, una richiesta di verità, da cui non possono esimersi né il veridico né il non veridico.
[9] Come si sa, anche il fatto che un mentitore si dichiari tale non è esente da gravi difficoltà interpretative, come dimostra l’antico Paradosso del mentitore, noto anche come Antinomia del cretese.
[10] «Il linguaggio non serve a conoscere una eventuale realtà, ma a sfiorarla, a non vederla, pur sapendo esattamente dove si trova, anzi presupponendo appunto che questo si sappia in modo indubitabile». Cfr. Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, 1985, Adelphi ,p. 14.
Il linguaggio può limitarsi a sfiorare la realtà, conosciuta integralmente solo dal pensiero. La letteratura è quindi la più onesta espressione dell’artificialità del linguaggio: è consapevole della sua limitatezza, e sin dal principio si propone fisiologicamente menzognera.
[11] Emilio Garroni, “Osservazioni sul mentire” in Osservazioni sul mentire e altre conferenze, Teda Edizioni, 1994, pag 39.
[12] Tommaso Landolfi, “La muta” in Tre racconti, Vallecchi editore, 1964.